lunedì 24 ottobre 2011

Bestiame


Dalmine, 24 ottobre 2011
Caro diarietto,
se ti chiedessi che cosa sia più grave tra l'omicidio ed il campo di sterminio, sono sicuro che mi risponderesti il secondo. Pur essendo orribili entrambi il secondo è ancora più tragico. E se ti chiedessi invece che cosa sia più grave tra la caccia e l'allevamento? Forse mi risponderesti la caccia. Eppure se ci pensi, l'allevamento non è altro che un campo di sterminio. Certo si tratta di animali, e non sono consapevoli di essere condannati a morte certa. Nei confronti di un cacciatore un animale, se è abbastanza svelto, magari se la cava. Con l'allevamento no! È in una trappola da cui non può scappare. Non vive in libertà ma è sicuramente ben nutrito. Interessatamente. Non ne faccio un discorso morale, anch'io mangio la carne. Mi interessa solo rimarcare il totale rovesciamento del giudizio comune, a seconda che si tratti di persone o di animali. Allevare gli animali è una trovata dei nostri antenati per avere carne sempre a disposizione, in maniera più facile e continuativa. La violenza e la crudeltà della caccia saltano agli occhi, quella dell'allevamento, chissà perché, di solito no.

venerdì 7 ottobre 2011

Vamp


Dalmine, 7 ottobre 2011
Caro diarietto,
a volte mi chiedo perché molte donne sentano il bisogno di essere seducenti ventiquattro ore su ventiquattro. La telegiornalista, per esempio, che necessità ha di essere scollata? Mentre legge le notizie gli uomini dovrebbero notare la sua avvenenza? Perché? Non è lì per dare delle notizie? E la parlamentare, perché è lì in minigonna con le gambe accavallate e autoreggenti in bella vista. Che cosa c'entra con la politica? Spesso le donne si lamentano che gli uomini guardino solo il loro aspetto fisico, che non considerino le loro qualità intellettuali. Ho l'impressione che spesso loro agevolino questa inclinazione maschile. È come una forma di potere, come se dicessero: sì sto commentando i fatti del giorno ma se voglio posso conquistarti. Forse è un istinto. O un comportamento coatto. Millenni di sottomissione forzata le hanno portate ad usare, anche a sproposito, l'unica arma che gli uomini hanno voluto e gradito di lasciargli: la seduzione appunto. Pensano così di essere più convincenti? Secondo me la seduzione va usata per sedurre e non per altro. Se stai svolgendo un lavoro intellettuale non è necessaria. O almeno non dovrebbe. Queste continue sollecitazioni sessuali  nei confronti degli uomini non aiutano la comprensione reciproca. Ah le donne, parafrasando Jessica Rabbit, non sono cattive, è che le disegnano così.

giovedì 6 ottobre 2011

Abbracciamoci

Dalmine, 6 ottobre 2011
Caro diarietto,
se c'è una cosa che ci dà una immediata sensazione di benessere, un vero toccasana, questa è l'abbraccio. Ce ne scambiamo sempre troppo pochi. Di solito solo con alcune persone. E solo in determinate circostanze. Comporta un contatto molto ravvicinato che crea imbarazzo in molta gente. Come se il loro spazio fosse stato violato. Come se fossero nudi, allo scoperto. Ci sono abbracci e abbracci. C'è l'abbraccio frontale, c'è l'abbraccio alle spalle, c'è l'abbraccio laterale. Ci si abbraccia anche da soli, in special modo se ci sentiamo molto vulnerabili, quasi come una forma di affetto verso se stessi, di rassicurazione o di difesa. Molta gente evita di abbracciare pensando che abbia in sé qualcosa di troppo intimo, quasi sessuale. Se due si abbracciano con trasporto si sente un'energia circolare fra i due corpi, una sensazione bellissima. Se invece chi abbraccia si irrigidisce e mantiene la distanza, sfiorando appena l'altra persona, il disagio è assicurato. È come un rifiuto. Chi rifiuta un abbraccio, azione così emozionale, così nutriente, davvero non sa che cosa si perde.

mercoledì 5 ottobre 2011

Ingorgo

Dalmine, 5 ottobre 2011
Caro diarietto,
a volte penso che su Facebook tanti amici ignorino le mie attività. Mi dispiace ma poi penso: io quanti ne trascuro?
Non lo faccio apposta ma forse ne ho troppi, senza contare le pagine e i gruppi. A loro magari succede lo stesso. Penso che sia umanamente impossibile seguirli tutti e cinquemila, tra amici (circa ottocento), pagine e gruppi. Ammesso che ti ci dedicassi ventiquattro ore al giorno, neanche così credo che riusciresti a seguire con un minimo di attenzione questo traffico incessante. Praticamente un ingorgo. Che fare?
Unica soluzione: sfrondare, scegliere, tagliare i rami secchi, modulare gli aggiornamenti in base alle persone. Per alcune  tutti gli aggiornamenti, per altre solo i più importanti e per altre ancora nessun aggiornamento. Altrimenti non se ne esce vivi! E infine rimuovere senza pietà, salvo poche eccezioni, tutti gli amici, le pagine e i gruppi con cui non c'è alcuna affinità o che sono inattivi. Cui si è aderito così, con leggerezza. Facilissimo cliccare "mi piace" o chiedere o accettare l'amicizia di qualcuno tanto per fare. Tanta gente è su Facebook solo come spettatori, non è attiva né reattiva. Nel senso che ficcanasa qua e là senza lasciare traccia del proprio passaggio. Sono i peggiori. Penso proprio che sia arrivato il momento di fare un po' di pulizia. 

martedì 4 ottobre 2011

Oltre il cancelletto

_Kommen hier! Kommen hier bambina. La bimba, quattro anni, si avvicina un po' impaurita ma incuriosita. Davanti a lei, seduto per terra, c'è un uomo con uno strano cappello, di ferro. Sanguina. Si sarà fatto la bua, pensa. Che ci fa qui, in riva al suo fiume? Lui sorride e le parla. Parla strano, non si capisce niente. Però ha un'espressione amichevole e dolente e lei istintivamente gli porge la sua fetta di pane. Lui la prende:_Danke, ne prende un pezzetto e gliela ridà. Lei sorride e addenta il pane.
_Piaaaaa, torna a casa che è pronto! urla la madre. Vede il soldato tedesco e si allarma:_Piaaa, vieni qua! Si avvicina, la guerra sta finendo ma che ci fa quel soldato nemico lì, da solo, in riva al Po? Si fa forza e avvicinandosi stringe a sé la figlioletta. _Mamma, il signore si è fatto male. Il soldato si alza a fatica in piedi e le parla:_No paura! No paura...Le parla in tedesco, lei non capisce ma, terrorizzata, fa nervosi cenni di sì con la testa. Racconta che ha perso i contatti col suo battaglione, è ferito e teme di non farcela. Ha una figlia a casa, più o meno della stessa età. Sa che la donna non comprende la sua lingua ma continua a parlare. Ogni tanto si guarda intorno. Ha un pacchettino di carta in mano, un po' sporco. Lo ripulisce su una manica e lo porge alla donna. Lei si ritrae ma lui si accoscia e rivolto alla piccina dice:_Regalo. La bambina prende il pacchetto:_Grazie.
Il soldato si alza, raccoglie il fucile e se ne va.
Si allontana zoppicando nella sera rosseggiante. La donna prende il pacchetto e sta per gettarlo nel fiume. No, si ferma, lo apre: tessuti di cotone colorato.

Lenti


Dalmine, 3 ottobre 2011
Caro diarietto,
finché non capita a te non puoi renderti conto del fastidio che provocano: gli occhiali.
Fino a quarantacinque anni avevo la vista di un falco, ci vedevo benissimo. Poi di colpo...Non ci avete mai pensato forse ma chi porta gli occhiali quando gli parlano dalla sua destra deve girare tutta la testa, non solo gli occhi come prima, quando ci vedeva bene. Tipo Frankenstein...
Se è senza occhiali deve aspettare che una persona gli arrivi vicino per riconoscerlo e se quello ci vede bene pensa, metri prima che tu lo saluti: _Ma non mi ha riconosciuto? Ehi sono io! Se deve leggere qualcosa in alto, e le lenti per vedere da vicino sono sotto, deve fare dei contorsionismi e piegare la testa all'indietro oppure spostare gli occhiali più su del naso. Per non parlare del fatto che tenere le lenti sempre pulite e trasparenti è un impresa veramente difficile. Hanno quasi sempre qualche sgradevole macchiolina di unto, fastidiosissima. Pulisci e sono subito sporche di nuovo.
Eppure servono gli occhiali. Eccome.
Già così è dura reggere la visione di una realtà inguardabile o capirci qualcosa, se poi la devi vedere anche sfocata...

domenica 2 ottobre 2011

BUONGIORNO, SONO FELICE. AIUTATEMI. (di Cristina Rubino)


Caro diarietto,
esiste, nell’approccio all’accattonaggio, un modo di sponsorizzarsi abbastanza usuale. È triste parlare di sponsor, quando quello che si sponsorizza è la propria povertà, ma il principio pubblicitario è lo stesso: catturare l’attenzione del pubblico su qualcosa e convincerlo che dovrebbe sborsare una monetina. In genere l’accattone fa leva sul sentimento della pietà e della compassione. Colui che adotta una simile strategia esibisce cartelloni in cui sono enumerate le malattie (vere o presunte) che affliggono i propri familiari, così che il pubblico sia invogliato a gettare una moneta per la guarigione e la salvezza dei malcapitati. Altre volte non c’è bisogno di alcun cartellone. Taluni girano zoppiccando per strada, e fanno di questo deficit fisico uno sponsor, altri ancora si inginocchiano poggiando la testa sull’asfalto, come a invocare una divinità, che in questo caso è il pubblico passante, che avvertita la propria superiorità , getta con disprezzo la propria moneta. Tuttavia tali strategie iniziano a non funzionare più, suscitando nel pubblico più ribrezzo che compassione. Molti dal pubblico si allontanano di scatto quasi per non essere contagiati dalle malattie dei familiari degli accattoni, altri rispondono che già il mondo è pieno di problemi, e non si può pensare ai problemi di tutti. Altri semplicemente non li notano, in quanto a volte gli accattoni diventano parte del paesaggio, basti pensare a quelli che si colorano il corpo con le bombolette spray per le vie del centro di Roma. Esiste tuttavia una donna che credo abbia rivoluzionato il modo di pubblicizzare il proprio status, puntando solo un tantino sulla pietà e avvalendosi invece di un metodo antichissimo per procurarsi consensi: suscitare l’ilarità del pubblico. Questa donna rivoluzionaria è una donna africana e la si può incontrare ogni sabato mattina all’angolo tra piazza Fiume e via Salaria, proprio dinanzi alla Bnl. Ella veste con dei vestiti sgargianti, indossa un copricapo africano e somiglia a Ella Fitzgerald. È molto robusta, forse più robusta della Fitzgerald, e si appropria di un intero marciapiede per esibirsi, ballando e cantando. A volte il suo ballo consiste di gesti incomprensibibili, come quello di portarsi la mano alla gola, tanto che una volta credetti mi volesse minacciare di morte mimando il gesto del tagliare la gola. Ciò che tuttavia suscita l’ilarità maggiore è il suo modo di sculettare. Inizia in una posizione eretta, poi si abbassa lentamente, tanto che sembra stia andando in bagno, e sculetta fino a sfiorare con il sedere il marciapiede. Ridono tutti, di un imbarazzo divertito. Ridono i bambini, le madri dei bambini, che tentano di censurare le risa dei propri figli ponendo una mano dinanzi alle loro bocche, salvo poi scoppiare a ridere più forte dei propri figli. Altri ridono perché gli altri ridono, si sa, insomma, la risata è una malattia molto contagiosa, tanto che in quelle zone , di sabato mattina, si può parlare di una vera e propria pandemia. La donna africana però continua il suo ballo e il suo canto, ignara delle reazioni che scatena attorno. I tassisti che attendono il verde al semaforo, spesso suonano il clacson e le fanno cenno di andare a ritirare la moneta desiderata. Lei scatta e raccoglie la moneta quotidiana, sempre sculettando e benedicendo loro e Dio, che Dio li benedica. Non ho mai visto una donna sculettare e benedire Dio nello stesso tempo. Quando è stanca la donna si ritira nella propria postazione. Un ombrello colorato fatto di stracci. Si siede su una specie di sedia ricavata da qualche rottame. Lì mangia del riso in una scodella, e beve acqua in abbondanza, per ripristinare l’equilibrio idrico scompensato dal ballo sfrenato. Nelle giornate troppo calde balla e canta seduta. Utilizza il bordo della sedia a mo' di percussione. In quei momenti muove la testa come un’ossessa, come in preda a una visione mistica , quasi a volersi rifare per l’impossibilità di muovere il proprio sedere in quella posizione. Quando una “zingara” invidiosa le si avvicina per maledirla, la donna africana la scaccia via e riprende il suo ballo come se nulla fosse, come se l’ira facesse parte di un breve interludio nell’atto eterno del suo ballo. Si è consolidata in molti l’idea che “quella povera donna”sia meritevole di una certa stima, che “non si sta mica a piangere su, prende la vita come le viene” “Canta che ti passa!” aveva urlato un giorno un vecchietto burlone alla donna. Non ho ancora menzionato la scritta impressa sul cartellone della donna, che è questa: Buongiorno, sono felice ma povera. Aiutatemi, grazie.
La rivoluzione pubblicitaria messa in atto da questa donna africana consiste esattamente in questo: menzionare la felicità, anziché una qualche sciagura.
Oggi tuttavia vi era una modifica singolare, nonché comica, sul cartellone. Vi era una cancellatura. Uno spazio bianco, esattamente lo spazio in cui prima vi era la scritta: ma povera. Per cui il cartellone modificato recita così: buongiorno sono felice. Aiutatemi, grazie.
Che si sia arricchita improvvisamente (ne dubito), che abbia voluto eliminare l’ultimo residuo di tristezza (la sua effettiva povertà) per raccogliere ulteriori consensi, in ogni caso non riesco a intendere perché abbia cancellato quell’accenno alla povertà . Tuttavia l’effetto è comico per chi leggesse il cartellone per la prima volta, senza conoscerne i precedenti: buongiorno sono felice. Aiutatemi. Come se la felicità fosse qualcosa da cui trarsi in salvo. Aiutatemi perché sono felice. Fatto sta che la gente continua a salutarla, a sorridere, a ridere, a stringerle la mano, a chiacchierare con lei. E infine, a darle l’ambita monetina.

Cristina Rubino