domenica 2 ottobre 2011

BUONGIORNO, SONO FELICE. AIUTATEMI. (di Cristina Rubino)


Caro diarietto,
esiste, nell’approccio all’accattonaggio, un modo di sponsorizzarsi abbastanza usuale. È triste parlare di sponsor, quando quello che si sponsorizza è la propria povertà, ma il principio pubblicitario è lo stesso: catturare l’attenzione del pubblico su qualcosa e convincerlo che dovrebbe sborsare una monetina. In genere l’accattone fa leva sul sentimento della pietà e della compassione. Colui che adotta una simile strategia esibisce cartelloni in cui sono enumerate le malattie (vere o presunte) che affliggono i propri familiari, così che il pubblico sia invogliato a gettare una moneta per la guarigione e la salvezza dei malcapitati. Altre volte non c’è bisogno di alcun cartellone. Taluni girano zoppiccando per strada, e fanno di questo deficit fisico uno sponsor, altri ancora si inginocchiano poggiando la testa sull’asfalto, come a invocare una divinità, che in questo caso è il pubblico passante, che avvertita la propria superiorità , getta con disprezzo la propria moneta. Tuttavia tali strategie iniziano a non funzionare più, suscitando nel pubblico più ribrezzo che compassione. Molti dal pubblico si allontanano di scatto quasi per non essere contagiati dalle malattie dei familiari degli accattoni, altri rispondono che già il mondo è pieno di problemi, e non si può pensare ai problemi di tutti. Altri semplicemente non li notano, in quanto a volte gli accattoni diventano parte del paesaggio, basti pensare a quelli che si colorano il corpo con le bombolette spray per le vie del centro di Roma. Esiste tuttavia una donna che credo abbia rivoluzionato il modo di pubblicizzare il proprio status, puntando solo un tantino sulla pietà e avvalendosi invece di un metodo antichissimo per procurarsi consensi: suscitare l’ilarità del pubblico. Questa donna rivoluzionaria è una donna africana e la si può incontrare ogni sabato mattina all’angolo tra piazza Fiume e via Salaria, proprio dinanzi alla Bnl. Ella veste con dei vestiti sgargianti, indossa un copricapo africano e somiglia a Ella Fitzgerald. È molto robusta, forse più robusta della Fitzgerald, e si appropria di un intero marciapiede per esibirsi, ballando e cantando. A volte il suo ballo consiste di gesti incomprensibibili, come quello di portarsi la mano alla gola, tanto che una volta credetti mi volesse minacciare di morte mimando il gesto del tagliare la gola. Ciò che tuttavia suscita l’ilarità maggiore è il suo modo di sculettare. Inizia in una posizione eretta, poi si abbassa lentamente, tanto che sembra stia andando in bagno, e sculetta fino a sfiorare con il sedere il marciapiede. Ridono tutti, di un imbarazzo divertito. Ridono i bambini, le madri dei bambini, che tentano di censurare le risa dei propri figli ponendo una mano dinanzi alle loro bocche, salvo poi scoppiare a ridere più forte dei propri figli. Altri ridono perché gli altri ridono, si sa, insomma, la risata è una malattia molto contagiosa, tanto che in quelle zone , di sabato mattina, si può parlare di una vera e propria pandemia. La donna africana però continua il suo ballo e il suo canto, ignara delle reazioni che scatena attorno. I tassisti che attendono il verde al semaforo, spesso suonano il clacson e le fanno cenno di andare a ritirare la moneta desiderata. Lei scatta e raccoglie la moneta quotidiana, sempre sculettando e benedicendo loro e Dio, che Dio li benedica. Non ho mai visto una donna sculettare e benedire Dio nello stesso tempo. Quando è stanca la donna si ritira nella propria postazione. Un ombrello colorato fatto di stracci. Si siede su una specie di sedia ricavata da qualche rottame. Lì mangia del riso in una scodella, e beve acqua in abbondanza, per ripristinare l’equilibrio idrico scompensato dal ballo sfrenato. Nelle giornate troppo calde balla e canta seduta. Utilizza il bordo della sedia a mo' di percussione. In quei momenti muove la testa come un’ossessa, come in preda a una visione mistica , quasi a volersi rifare per l’impossibilità di muovere il proprio sedere in quella posizione. Quando una “zingara” invidiosa le si avvicina per maledirla, la donna africana la scaccia via e riprende il suo ballo come se nulla fosse, come se l’ira facesse parte di un breve interludio nell’atto eterno del suo ballo. Si è consolidata in molti l’idea che “quella povera donna”sia meritevole di una certa stima, che “non si sta mica a piangere su, prende la vita come le viene” “Canta che ti passa!” aveva urlato un giorno un vecchietto burlone alla donna. Non ho ancora menzionato la scritta impressa sul cartellone della donna, che è questa: Buongiorno, sono felice ma povera. Aiutatemi, grazie.
La rivoluzione pubblicitaria messa in atto da questa donna africana consiste esattamente in questo: menzionare la felicità, anziché una qualche sciagura.
Oggi tuttavia vi era una modifica singolare, nonché comica, sul cartellone. Vi era una cancellatura. Uno spazio bianco, esattamente lo spazio in cui prima vi era la scritta: ma povera. Per cui il cartellone modificato recita così: buongiorno sono felice. Aiutatemi, grazie.
Che si sia arricchita improvvisamente (ne dubito), che abbia voluto eliminare l’ultimo residuo di tristezza (la sua effettiva povertà) per raccogliere ulteriori consensi, in ogni caso non riesco a intendere perché abbia cancellato quell’accenno alla povertà . Tuttavia l’effetto è comico per chi leggesse il cartellone per la prima volta, senza conoscerne i precedenti: buongiorno sono felice. Aiutatemi. Come se la felicità fosse qualcosa da cui trarsi in salvo. Aiutatemi perché sono felice. Fatto sta che la gente continua a salutarla, a sorridere, a ridere, a stringerle la mano, a chiacchierare con lei. E infine, a darle l’ambita monetina.

Cristina Rubino

3 commenti:

  1. Veramente bello Cristina! Complimenti :) Questa donna africana meriterebbe un romanzo...

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  2. proprio bello, la vogliamo in tour qui a trieste

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  3. fa piacere sia piaciuto :) si, ho pensato che questa donna meriterebbe più spazio. Lo farò :) tra l'altro ha una bellissima voce, me la vedo un sacco a cantare blues

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