venerdì 9 settembre 2011

Sfogo


Dalmine, 9 settembre 2011
Caro diarietto,
i soldi non fanno la felicità. O meglio: i soldi non fanno la felicità? Certo, si può essere ricchi e infelici; si può essere poveri e felici. Qual è il punto? Da un punto di vista materiale, essere ricchi ti permette di frequentare scuole migliori, di nutrirti meglio, di curarti meglio e, soprattutto, di avere più tempo libero a disposizione. Quindi hai sicuramente un'aspettativa di vita più lunga e una salute migliore, salvo i casi imperscrutabili di ricchi suicidi. Invece da un punto di vista, diciamo intellettuale, esistono riccastri perfettamente idioti e poveri intelligentissimi.
Esiste gente che, potendo fare ciò che più gli piace, non sfrutta questa occasione, non combina niente di buono e gente che invece, dovendo utilizzare il proprio tempo per la sopravvivenza materiale, non ha modo di tirare fuori il meglio di sé, sprecando magari il suo potenziale.
Intanto le lancette girano. Inutile lamentarsi. Inutile recriminare. Focalizzare le proprie responsabilità, su quelle altrui non puoi farci niente. Devo fare il meglio che posso, con i mezzi e con il tempo che ho a disposizione. Almeno potrò dire di averci provato e non trascorrerò una vecchiaia piena di rimpianti. Sempre che abbia il tempo di arrivarci.

giovedì 8 settembre 2011

Un vero regalo


Dalmine, 8 settembre 2011
Caro diarietto,
voglio raccontarti una piccola storia, che mi ha toccato. Un mio collega, operaio siderurgico, durante una pausa del lavoro mi fa: sai, io tante volte faccio qualche ora in più. È una scocciatura ma penso, ecco, con i soldi che prendo in più  magari compro un regalino a mia figlia, chissà come sarà contenta. E lei lo sarà sicuramente ma, poi mi fermo e dico: per quanto tempo ancora sarà la mia bambina? Gli anni volano via veloci. Crescerà, avrà altri interessi, diventerà un'altra persona. E io, per tutto questo tempo, l'avrò vista poco tra i turni e gli straordinari. Di sfuggita. Forse, mi dico, il regalo più bello che potrei farle è un altro. Passare meno tempo in fabbrica e più tempo con lei.

mercoledì 7 settembre 2011

Tante vite


Dalmine, 7 settembre 2011
Caro diarietto,
non so se sia una condizione diffusa, forse sì, ma credo di avere due vite. No, non sono schizofrenico. Mi spiego: ho una vita "alimentare" che mi permette di mangiare, pagare le bollette e comprare quello che mi serve; e una vita "relazionale", che mi mette in comunicazione con gli altri e dove posso esprimermi e fare ciò che mi piace. A dir la verità sarebbero tre, perché non ho considerato la vita puramente fisiologica che comprende il sonno, l'alimentazione e le altre funzioni fisiologiche. Talvolta le vite si sovrappongono. Quella che occupa la maggior parte del mio tempo purtroppo è quella meno interessante, l'alimentare, senza la quale però le altre due non ci sarebbero. Se solo fossi nato ricco...Poi viene quella fisiologica. Ed infine nel restante tempo a disposizione c'è la mia vera vita, fatta di ritagli di tempo, magari rubacchiati alle altre due. È un'ingiustizia! Il massimo sarebbe ovviamente guadagnarmi il pane facendo ciò che mi piace. Penso che riguardi una minoranza di persone. Mi chiedo: è colpa mia, colpa di qualcun'altro, colpa delle circostanze, colpa del destino crudele. Vallo a sapere. Si potrà rimediare? Riuscirò mai a unificare il tutto? Anche se forse la situazione non è rimediabile, io non mi arrendo. Mentre scrivevo questo blog, mi ci sono immerso e, almeno per un po', ho messo in secondo piano le altre due miserabili vite...meglio di niente. 

martedì 6 settembre 2011

Partecipare


Dalmine, 6 settembre 2011
Caro diarietto,
ci sono situazioni in cui si crea un'atmosfera di solidarietà e di amicizia, una comunanza di intenti, ci si dà tutti del tu: i cortei. Nei cortei sindacali mi sento proprio a mio agio. Per il tempo di qualche ora si è tutti partecipi e animati da un'unica volontà: essere visibili. Tutte quelle bandiere, la musica, i fischietti assordanti, le voci dei megafoni. La gente sui marciapiedi che ti guarda, a volte con simpatia, tante volte no. La faccia truce dei poliziotti. I cori beffardi. Uomini, donne, vecchi, bambini sui passeggini, cani. Tante fotocamere e videocamere funzionanti a ciclo continuo. Il vocìo della folla. I discorsi finali in piazza. Applausi. Ovazioni. Bello. È il sentirsi parte di una causa, una causa giusta, almeno per noi. È il non delegare ad altri le proprie ragioni. Testimoniarle in prima persona. Significa sentirsi per una volta protagonisti; sentirsi vivi.

lunedì 5 settembre 2011

Guidare


Dalmine, 5 settembre 2011
Caro diarietto,
se qualcuno, tanti anni fa, mi avesse detto che sarei riuscito a muovere mani, piedi, testa, occhi contemporaneamente, compiendo con ognuna azioni diverse e ascoltare e parlare allo stesso tempo, gli avrei dato del pazzo. Ma, se ci pensate, è esattamente quello che ognuno di noi fa agevolmente guidando una macchina. Una coordinazione di movimenti che somiglia ad un balletto. Come suonare uno strumento musicale. Si riesce a prendere decisioni rapidissime e vitali in frazioni di secondo, di fronte a situazioni ogni volta diverse. Geometrie e movimenti armoniosi e fluidi. Naturalmente se si guida bene. Allora diventa un piacere. Altrimenti ci si trasforma in armi letali. 
Penso che l'ultima cosa che si possa chiedere a un guidatore è di essere originale o di improvvisare. Sulla strada è obbligatorio essere quanto più noiosi, ripetitivi e prevedibili possibile. Per il bene di tutti.

venerdì 2 settembre 2011

Amebe ritardate


Dalmine, 2 settembre 2011
Caro diarietto,
le amebe, come ognuno sa, sono una delle forme di vita più semplici, tra il vegetale e l'animale. Che ci siano anche delle amebe ritardate, quindi ancora più sfortunate, è qualcosa che mi ha colpito profondamente. Eppure è così. Ci sono esseri monocellulari che lavorano, in condizioni anche pessime, sfruttati vergognosamente, che si fanno un punto d'orgoglio nell'affermare spavaldi che loro non scioperano, è roba da comunisti! Anzi ringraziano il padrone per l'enorme regalo che gli fa pagandoli, magari lo farebbero anche gratis. Ma il padrone nella sua smisurata magnanimità arriva al punto di ricompensarli per la loro fatica. Che esseri superiori i padroni e quanta riconoscenza gli si deve: ti fanno lavorare e non tengono nulla per se. È un dono che elargiscono a piene mani e disinteressatamente. Sono tanto buoni e non gli si può fare questo torto, questo affronto di pretendere anche condizioni migliori di lavoro: un ventilatore, una stufa, una pausa caffè...
Se qualcuno, spero proprio di no, non avesse colto il sottilissimo sarcasmo...temo per lui, che appartenga alla suddetta nutritissima nuova categoria zoologica o che magari non colga appieno il significato della parola "SINDACATO"...

giovedì 1 settembre 2011

Che sonno...


Dalmine, 1 settembre 2011
Caro diarietto,
il sonno è una brutta bestia. Le persone come me, che lavorano a turni, ne sanno qualcosa. Non si può dormire indifferentemente ad una qualsiasi ora. Il corpo umano è fatto per dormire ad una certa ora: diciamo fra le ventitré e le sette grosso modo. Dormire in ore diverse o non dormire affatto in questo lasso di tempo non è salutare. Per niente. Questo dal punto di vista fisiologico, dal punto di vista psicologico è anche peggio. Essere svegli mentre gli altri dormono e dormire mentre gli altri sono svegli ti taglia fuori da qualunque contesto sociale. Tutto ciò che avviene nel mondo "normale" è pensato per chi non fa turni. Il disagio viene in qualche modo ricompensato con delle maggiorazioni di paga ma i soldi non potrebbero mai ricompensare una vita costantemente sfasata. E anche se tu dormissi dodici ore al giorno, il sonno diurno non è altrettanto ristoratore, ti sveglieresti comunque stanco e mezzo rimbambito. Torni a casa e tua moglie esce a lavorare, esci tu a lavorare e lei va a dormire. Anche frequentare un circolo, per esempio, è impossibile per chi fa i turni. Potresti andarci solo una settimana su tre: quando fai la mattina. Certo se devi andare in banca o alla posta, facendo i turni ti capita la mattina o il pomeriggio liberi, ma mi sembra un ben misero vantaggio a fronte di una vita così disagiata. Ed è purtroppo l'unica vita di cui disponiamo.